La Val Chero e il Parco del Piacenziano
La nostra azienda è collocata in una Riserva Geologica la quale tutela nove(9) stazioni di grande rilevanza stratigrafica e paleontologica distribuite in cinque diverse vallate, dove rupi, pareti rocciose e calanchi interrompono il dolce paesaggio coltivato delle colline piacentine.
Negli affioramenti tra le valli dei torrenti Vezzeno e Ongina e gli innumerevoli strati rocciosi, hanno restituito reperti fossili in ottimo stato, di grande varietà geologica e abbondanza.
Il loro recupero sistematico iniziato dalla fine del Settecento ha portato alla formazione di una delle più importanti collezioni del Pliocene mediterraneo, attirando l'interesse della comunità scientifica internazionale.
Questa eccezionale ricchezza di fossili, nota già a Leonardo da Vinci (che ne ha lasciato memoria nel codice Leicester), ha indotto gli studiosi a utilizzare il termine Piano Piacenziano, coniato dal geologo svizzero Karl Mayer, con il quale è oggi indicato il periodo di storia della terra compreso tra 3,5 e 2,5 milioni di anni fa.
Le successioni sedimentarie locali rappresentano un caso unico per lo studio dell'evoluzione del bacino padano durante le epoche remote. Buona parte dei molluschi, invertebrati e mammiferi marini rinvenuti nella zona, tra i quali spiccano gli scheletri di due balenottere, sono conservati nel Museo Geologico e Paleontologico "Giuseppe Cortesi" di Castell'Arquato, suggestivo nucleo medioevale ottimamente conservato che dal colle domina la sponda sinistra dell'Arda.
Il museo, allestito nel cinquecentesco Ospitale Santo Spirito, con una rassegna di reperti ricca di oltre ottocento specie, offre strumenti didattici appropriati di studio, ricerca e classificazione. Recentemente e precisamente a fine ottobre 2009, è affiorato lo scheletro di un delfino, suscitando l’interesse mediatico di Rai2 mettendo in onda un apposito servizio televisivo.
Nelle colline piacentine le rocce più antiche affiorano poco più a sud delle stazioni della riserva; si tratta in gran parte di argille, e in misura minore di calcari e arenarie, intensamente deformate per aver partecipato alle lunghe vicende che hanno portato alla formazione della catena appenninica. Queste rocce sono dette Liguridi perché la loro sedimentazione avvenne sui fondali di un antico oceano (l'Oceano Ligure) che nel lontano Mesozoico, tra Giurassico e Cretacico, si estendeva in zone che corrispondono all'odierna Liguria.
Dopo la chiusura dell'oceano la sedimentazione proseguì per molti milioni di anni nelle aree appenniniche, ricoprendo le rocce più antiche che formavano il nucleo dell'edificio montuoso in via di sollevamento. Gli affioramenti della riserva raccontano una parte molto recente di questa storia, quella accaduta durante il Pliocene (tra 5,3 e 1,8 milioni di anni fa). Una grandiosa regressione marina, ossia l'invasione del mare su terre precedentemente emerse, siglò l'inizio di quest'epoca, a seguito della quale un profondo golfo marino si stabilì nell'area dell'odierna pianura padana, e la sua la linea di costa disegnava ai piedi dell'Appennino numerose insenature. All'inizio del Pliocene il clima piuttosto caldo favorì la vita di specie marine di ambiente subtropicale, tra cui numerosi molluschi tipici di ambienti più caldi dell'attuale Mediterraneo, i cui resti sono rimasti tra le rocce come preziosa testimonianza fossile.
La Val Chero
Archeologia, passeggiate tra castelli e calanchi, gastronomia sono le tre chiavi di lettura per chi si appresta a visitare la val Chero. Situata tra la val d'Arda e la val Nure, si parte lungo una scorrevole strada provinciale che arriva al Monte Santa Franca, incontrando calanchi, cascate, piccoli paesi e centri conosciuti come Rustigazzo e Velleja Romana.
La scoperta della pregevolissima gastronomia del territorio tocca i vigneti di Travazzano e Magnano, dove vi si trovano i crù di Montesissa e boschi di saporite castagne. E proprio a Carpaneto, capoluogo naturale della valle, si celebrano due eventi enogastronomici di livello Nazionale, “GUT” Gutturnio Festival e una festa dedicata alla regina dei salumi piacentini, la COPPA. In questo paese che, fin dal XVII secolo fu un importante centro agricolo, merita di essere visitato l'antico castello, di impianto feudale, teatro di numerosi scontri e anche, nel XVI secolo, base delle scorrerie di Pier Maria Scotti detto il Buso. Del fortilizio, oggi sede del comune, rimane parte dell'edificio quattrocentesco e un porticato con colonne di granito e capitelli in arenaria. La Pieve di Carpaneto ha davvero un'origine molto antica, attorno al Mille, come testimoniano alcune pergamene longobarde della cattedrale di Piacenza e l' esistenza di un affresco mariano del XIV secolo.
A qualche chilometro di distanza da Carpaneto, in Val Vezzeno, si trova Gropparello che al visitatore offre lo spettacolo di uno dei più bei manieri del Piacentino. Le origini del castello possono essere fatte risalire al 789, quando il fortilizio fu assegnato da Carlo Magno al vescovo Giuliano di Piacenza. L'edificio, dalla pianta irregolare, costruito su una collina rocciosa, è circondato da Mura che scendono fino al torrente Vezzeno. Ottimamente conservato e valorizzato, negli ultimi anni i proprietari hanno messo a punto un programma di animazione che ha trasformato il castello e il suo "parco delle fiabe" in un luogo ideale per il divertimento delle famiglie. A Gropparello si può ammirare, oltre alla torre Gragnana costruita nella metà del cinquecento probabilmente su progetto di Jacopo Barozzi detto il Vignola, anche la "chiesa vecchia" dell'antica Pieve di Cagnano costruita, i n località Gelati, nel X-XI secolo. Tale Pieve, che in epoca medioevale estese il suo potere sulle vallate del Chero, del Vezzeno e del Riglio, ebbe molta importanza, tant'è che a lungo fu anche residenza del vescovo di Piacenza. Lungo la strada che collega Carpaneto a Velleja Romana si incontrano paesi che racchiudono sorprese: Travazzano, il cui castello risalente all'XI secolo, accolse in epoca medioevale molti nobili fuggiti dalla città; ma ospitò anche l'imperatore Lotario II reduce, nel 1136, dalle fatiche della stesura della Dieta di Roncaglia; Magnano, la patria delle ciliegie, con un castello che costituisce uno dei più significativi esempi di fortificazione: dalla pianta trapezoidale, costruito in pietra, fu a lungo di proprietà degli Scotti; Torre Confalonieri a cui si lega la vicenda di San Corrado. Rezzano, Badagnano, Tabiano e Montezago, con la sua bella chiesa del primo Novecento, sono piccoli paesi collocati in una zona ricca di conchiglie fossili e un tempo segnata dalla presenza di numerosi mulini. Rustigazzo, a pochi chilometri dal parco provinciale del Monte Moria, è il borgo più popolato della media val Chero, con molti negozi e diverse iniziative di intrattenimento, organizzate soprattutto d'estate.
Di assoluto interesse è la visita a Velleja Romana, uno dei centri archeologici, più importanti dell'Italia settentrionale. Abitata dai Liguri Veleiates fu, dal I al V secolo d.C., importante municipio romano e capoluogo di una vasta area montana che si estendeva dalla zona parmense fino alla val Trebbia. I Romani la conquistarono in maniera del tutto pacifica e nel 42 d.C. ottenne la cittadinanza romana. Velleja fu un importante punto di interscambio commerciale, ma anche un affollato centro turistico-termale, in grado di richiamare i "vip" della Roma imperiale. Nel periodo compreso tra la fine del III e l'inizio del IV secolo ebbe inizio la decadenza della cittadina. A partire dalla metà del Settecento, iniziarono gli scavi per volere del duca di Parma, Filippo Borbone, dal momento che nel 1747 era stata ritrovata casualmente la Tabula alimentare traianea, una iscrizione bronzea risalente alla prima metà del II secolo d.C. Il primo ciclo di scavi, prolungatosi fino al 1765, portò alla luce importanti reperti: cippi, iscrizioni, vasellame, le statue bronzee della Vittoria Alata e dell'Ercole Bibace, le dodici statue del ciclo Giulio-Claudio della basilica e l'impianto termale. Nei secoli successivi, a più riprese, furono effettuate altre importanti indagini e furono avviati lavori di ripristino, come, negli anni Cinquanta del XX secolo, la ricostruzione delle colonne del foro e dell'anfiteatro che da qualche anno ospita, in estate, rappresentazioni teatrali.